giovedì 13 febbraio 2014

Cinephilia: 12 Anni Schiavo




Posso essere la voce dell'impopolarità? Ok, non prendetela subito male. Non è che non mi è piaciuto. Solo che non mi è piaciuto così tanto. Film sul genere ne abbiamo un sacco, e quello che voglio dire io è: questo non è poi tanto diverso dagli altri. 
12 anni schiavo si erge vittorioso su fotografia, cast e regia, ma pecca, a mio parere, grandemente, nella sceneggiatura e in quello che alla fine ha saputo mostrare. Parte bene, anzi benissimo, ma poi inciampa in delle sottospecie di cose aspettatissime e ripetitive, che no, no Steve, così non va. Ma andiamo con ordine. 
Vincente l'inizio, dove ci viene presentato Solomon Northup, un uomo brillante, davvero brillante, con una bella famiglia, un talento meraviglioso nel suonare il violino, una vita tranquilla e soddisfacente nella contea di Saratoga. Quello che abbiamo è quindi un uomo comune, un borghese dell'ottocento, non si parte da una vittima, da un povero o da un rivoluzionario, non da qualcuno in cerca di vendetta. Solomon è uno qualunque. Che ha la sfortuna di imbattersi, o meglio, di credere, in due tizi che lo porteranno a perdere la sua libertà. La scelta di questo punto di vista iniziale, a mio parere, promette(va) un crescendo di perdita "umana" ma al contempo di presa di coscienza, che forse c'è stata, ma che è stata affrontata con mezzi deboli, e non ha raggiunto il climax che mi ero pregustato dopo questo sfavillante inizio. Ecco quindi la schiavitù di Solomon, che perde, una cosa che è stata di fatto affrontata con impatto e tagliente repentinità, il suo nome, diventando Platt. Platt comunque sia sarà sempre cosciente di essere Solomon, e non perderà sé stesso, e questo lo renderà il diverso, agli occhi dei padroni e degli stessi schiavi. Solomon sa chi era e se lo ricorda, affronterà le cose con una dignità e un'intelligenza disarmanti. Quindi? Entrano in scena violenza, razzismo, situazioni ai limiti dell'orrore che ci stanno tutte. Anzi, ci devono essere. Solomon cambia tre volte padrone, dal "comprensivo" William Ford (Benedict Cumberbatch) al maniacale Edwin Epps (Michael Fassbender), incontrando schiavi, uomini crudeli, situazioni terribilmente crude. Qui però cominciano le mancanze. Quello che io ho visto è stato, una testimonianza, ripeto, giustamente visto l'argomento, della crudeltà umana. La storia di Solomon non è solo la storia di un uomo libero che perde la libertà, è prima di tutto la storia di un uomo prima di tutto, un uomo e basta, e della prospettiva che il concetto di essere umano e umanità può assumere. Ma questo da dove lo ottengo? Forse dall'entrata in scena del deus ex machina Samuel Bass, interpretato da Brad Pitt, che solleva un velo di Maya tessuto di vero e proprio inganno. Ma da nient'altro. O almeno, questo è quello che (non) ho sentito io. Perché McQueen ce lo dice chiaramente forse, con inquadrature su una natura bella ma quasi oscena, con il sangue che schizza via durante le frustate, con bruchi che infestano il cotone, McQueen è un artista e lo sappiamo. Però vorrei mettere in atto un paragone forse insensato. In "Shame" McQueen
era stato quasi infido, intimo, la storia di un uomo che affronta e soffre le sue pulsioni sessuali era stata affrontata con una raffinatezza, ma allo stesso tempo una crudeltà, davvero incantevole. Qui manca l'intimità. Lo so che c'è, e credetemi, non è facile smuovere critiche a un film che è candidato a nove premi Oscar, e mi sento una maledetta insensibile a dire certe cose, però, non mi ha toccato così tanto. Quello che porta avanti il film sono i suoi punti di forza, e ovviamente, la storia di Solomon, l'umanità e la coscienza sopratutto di un uomo che non si arrende mai, nemmeno di fronte all'evidenza di un essere umano così perdutamente e diabolicamente brutale come Edwin Epps, come l'esasperazione di una schiava che preferisce morire, che vuole morire, piuttosto di andare avanti, cosa che Solomon fa ogni giorno, per sé stesso e per chi era soprattutto. Ma quello che rende il film poco avvincente e poco eclatante e la sua mancata intimità con lo spettatore come ho detto, la sua messa in scena di realismo crudo con un lasciare sottinteso tutto il resto. 
La crudeltà mi è parsa in alcuni momenti ripetitiva, ridondante. Il lavoro sulla sceneggiatura infatti non eguaglia il lavoro sulla regia, neanche un po'. E neanche eguaglia il cast clamorosamente bravo. Da Chiwetel Ejiofor, Solomon appunto, al magnifico Fassbender, che vince davvero tutto. Una menzione va giustamente anche a Lupita Nyong'o, lei sì che mostra un'intimità di tutto rispetto. Ma la storia non evolve, non arriva. Con una regia del genere, una fotografia grandiosa, un cast fantastico, una storia incredibile da raccontare, il film va a peccare proprio su ciò che doveva venirgli meglio, ovvero la naturalezza, l'intimità,
la voglia di mostrare. Così quello che ne è venuto fuori e un'opera assolutamente da vedere, perché attenzione, non sto dicendo che fa schifo, ma è qualcosa che non inciderà poi così tanto in un mosaico di storie simili, perché è stata trasmessa debolmente, la mancanza di empatia secondo me è palese. Il finale repentino trasmette infatti allo spettatore soddisfazione, ma non sollievo. Comunque sia, dopo esser stata così crudele voglio comunque annoverare alcuni momenti della visione che valgono davvero pena. La scena dell'agguato di John Tibeats a Solomon, scena dolorosa ed esasperante, il dialogo con Brad Pitt, e la fotografia in generale (quante volte l'ho detto?), meravigliosa. Quindi guardatelo, perché è il racconto di una storia da ricordare, e meravigliatevi di fronte alla crudeltà umana alla corrispondente speranza che ne deriva, ma non vi aspettate una rivoluzione emotiva, perché secondo me non arriva.




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7 commenti:

  1. Allora. L'ho visto un mesetto fa in lingua. All'inizio, mi è piaciuto tanto.
    La storia è forte, la regia è impeccabile, gli attori - soprattutto Fassbender, lo dico - sono grandi. Però, ora come ora, a freddo, posso dire che, in lizza per l'oscar, c'è di meglio. Io tipo assolutamente per Her, ma non vincerà. Questo, però, è indubbiamente un film importante, popolare, e l'Oscar deve premiare anche questo: inutile farsi gli intellettuali con gli eccessi, le tette al vento e i "fuck" generosamente sparsi di Scorsese. Se è, meglio questo. Ah, ho detestato Brad Pitt: proprio fuori parte, o forse troppo dentro la parte. Io vedevo lui, non il personaggio. Per fortuna, esce un secondo.

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    1. Anche io tifo per Her e mi dispiace abbia pochissime chance di vittoria. Quello di Scorsese non mi è piaciuto, non sono nemmeno riuscito a finirlo. Anche American Hustle non è male: cast eccellente, sceneggiatura adorabile, attuale ed anche piuttosto divertente.

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    2. A me The Wolf of wall street è piaciuto molto, ma appunto c'è di meglio. Come appunto c'è di meglio di questo. Her devo ancora vederlo, però per dire, secondo me Dallas Buyers Club merita sicuramente più di Scorsese e di questo qua. Fassbender sì che meriterebbe l'Oscar. A me Brad Pitt (ero partita con un sacco di riserve) invece è piaciuto.

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    3. Io ho tutti i miei favoriti. Dallas Buyers Club, per me, soprattutto a livello tecnico, ha un po' di falle: una regia, a tratti, traballante, ma due attori straordinari. Per me, sono loro i vincitori - anche se voglio bene a Di Caprio e Fassbender è mostruosamente bravo ancora una volta, dopo Shame. Per quanto riguarda le attrici non protagoniste, Julia Roberts: bravissima e presentissima sulla scena. Questa Lupita è molto brava, ma è il suo personaggio che emoziona: in un ruolo diverso, non so quanto avrebbe spiccato. American Hustle mi è piaciuto, è un'ottima commedia, ma non da premio Oscar, per me: spero proprio che non vinca nuovamente la Lawrence, simpatica, ma non adatta al ruolo di una donna di mezza età e sull'orlo di una crisi di nervi. Le hanno riscritto il personaggio su misura, ma si vede che la cosa è forzata. La preferisco di gran lunga in Hunger Games, alle prese con ruoli adatti alla sua età: è grande, grossa e bellissima, ma ha sempre ventitré anni. Ci vogliono ancora una ventina d'anni affinché convinca nei panni della casalinga disperata. Gravity - che ho trovato un bel film, ma il tipico kolossal all'americana - sicuramente vincerà per la regia di Cuaron, regista che adoro e seguo dai tempi di Paradiso Perduto.
      Leo, anch'io non ho finito di vedere quello di Scorsese! Queste cose così estreme mi infastidiscono un sacco: metti che il film sia censurato, cosa ne resta? Una specie di circo costruito sul nulla e sulla bravura di Di Caprio, che è stato molto più convincente, poi, in Revolutionary Road e The Aviator. Rosico ancora per l'assenza di Il Grande Gatsby e Lana Del Rey, tra l'altro. Misteri.

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    4. Guarda, non parlarmi di Gatsby e Del Rey che mi girano le balls di brutto. Posso capire che non vogliate candidare il film perchè, a quanto pare, la critica ufficiale lo ha massacrato, ma la colonna sonora?! Non ho parole.
      Per la Lawrence, a me ha fatto morire dal ridere, solo la scena nel bagno vale tutta la candidatura, ma trovo anch'io che fosse troppo giovane per la parte. "I segreti di Osage County" lo devo ancora recuperare, ma non mi dispiacerebbe vedere la statuetta in mano a Cate Blanchett per la sua Jasmine.
      "The wolf of all Street" era un film che aspettavo con tutto me stesso, ma mi ha deluso abbastanza. Quel che ho visto potrebbe essere così riassunto: droga, sesso, soldi, sesso, droga, soldi, sesso.

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    5. A me è piaciuto tantissimo. Comunque sì, vince Quaron per la regia sicuro, anche se, pur non avendo visto il film, concordo su "tipico kolossal all'americana". Devo recuperarlo American Hustle, ma a me la Lawrence aveva già convinto poco in "Il lato positivo" (oh, non mi va bene nulla, lo so).

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    6. Diamoci la mano, Diletta. In Il lato positivo non mi era piaciuta per nulla, ma Cooper era da Oscar, lì.

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