martedì 21 maggio 2013

Gruppo di Lettura su Il Grande Gatsby - Discussione sui capitoli 4-6


A cura di Marco Locatelli
Cari lettori, oggi sarò io, Marco, a moderare la discussione sui capitoli 4, 5 e 6 de Il Grande Gatsby. Logicamente spero che la vostra esperienza di lettura sia positiva, e spero anche che il Gruppo di Lettura vi stia piacendo.
Nello scorso post sono stati analizzati da Leo i personaggi principali, mentre oggi vorrei parlarvi in particolare del personaggio che dà nome al libro e attorno al quale ruota tutto il romanzo. La decisione di trattare proprio di lui viene dal fatto che questi tre capitoli siano particolarmente Gatsby-centrici; dopo le introduzioni al setting e ai protagonisti, finalmente il romanzo entra nel vivo utilizzando flashback e altri espedienti narrativi per trascinare il lettore nel vivo della storia.
Scopriamo in questi capitoli di particolari intrecci di cui non potevamo nemmeno sospettare, e veniamo a conoscenza di un nuovo lato di Gatsby.

La primissima impressione che mi sono fatto di Gatsby è quella di un uomo affabile e affascinante. Viene presentato come l'uomo che tutto può, una persona con talmente tante risorse da potersi permettere di non curarsi dell'esito delle cose. Ospita feste incredibili nella sua magione, senza interessarsi delle voci che girano su di lui a suddette feste, non importandosi di quanta gente non invitata si approfitti della sua benevolenza, dando sempre un'immagine regale e perfetta di sé.
Un personaggio talmente perfetto e composto sicuramente dovrà nascondere qualche segreto: tra le varie supposizioni dei suoi ospiti sentiamo anche parlare di affari loschi, illegalità di vario genere.
Ciò che questi tre capitoli però ci propongono è un lato umano.
Il lettore viene costantemente sballottato tra una visione di Gatsby e l'altra.
Il quarto capitolo si apre con una riflessione sugli invitati, come se fosse un'ostentazione o una semplice realizzazione della sua ricchezza da parte del narratore Nick. Rimane nella narrazione quella sensazione di meraviglia comune che si prova quando si pensa alle feste di Gatsby, alla musica e ai colori, agli invitati provenienti da diversi parti della città. Eppure, si procede con una nota più personale, intima e meno sfarzosa. Nick continua a frequentare Gatsby, accorgendosi così di non conoscerlo davvero, e notando, testuali parole, "che aveva poco da dire". La stupore iniziale si trasforma in abitudine, e Nick definisce Gatsby come "semplicemente il proprietario di una casa molto vicina alla mia".
Ma è possibile che la magia iniziale del libro si spenga così presto? Non proprio. Perché la luce inizia a fare spazio ad un accenno di oscurità, e anche nell'oscurità è possibile trovare qualcosa di interessante.
Jay Gatsby inizia a parlare con Carraway del suo passato, quasi a volersi pulire di dosso le voci infondate sulla sua storia con un atto di onestà sicuramente apprezzato, reso dubbio però da alcune affermazioni che Nick sente pronunciare in seguito da Wolfsheim. Alcune parole fanno intendere che Gatsby non sia un personaggio del tutto onesto e che abbia veramente qualcosa da nascondere.
A parer mio è molto interessante vedere questo contrasto nello stesso capitolo e in poche pagine: si apre tutto con dell'onestà, e si chiude con l'esatto contrario.
Successivamente, veniamo a conoscenza del passato di Daisy e di come questo sia legato alla storia di Gatsby. Non voglio soffermarmi su questo punto proprio perché è tutto scritto nel libro in maniera chiara — vorrei invece analizzare Daisy dal punto di vista di Gatsby stesso, perché trovo che sia questo il punto in cui le cose iniziano a farsi interessanti.
Gatsby abbandona involontariamente la sua maschera da uomo vissuto e si rigetta in torpori passati, dando spazio a un'insicurezza inaspettata e curiosa.
Daisy non solo riporta Gatsby al passato, ma lo spoglia di qualsiasi ingegno rendendolo estremamente vicino al lettore (tra parentesi, vicino al lettore ma non al narratore. Io, da parte di Nick Carraway, ho notato un'empatia quasi necessaria, comoda, ma non sentita. La cosa è in linea con il pensiero che ha di Gatsby, dato che dall'inizio è sempre stato più o meno scettico nei suoi confronti).
L'incontro tra Gatsby e Daisy nel quinto capitolo inizia in maniera estremamente imbarazzante. Gatsby viene descritto come agitato, dubbioso e paranoico al solo pensiero di Daisy. Letteralmente, questo capitolo è la rappresentazione di come un sogno possa diventare realtà, e non nel modo sperato.
Perché Daisy, per Gatsby, equivale solamente un sogno, ed ogni suo passo verso di lui equivale all'avvicinamento ad una realtà più o meno scomoda. Non si tratta più del desiderare la luce verde associata a Daisy Buchanan, ma di confrontarsi dopo tanti anni con una persona ormai perduta. I due appartengono a due realtà separate che Gatsby adorerebbe vedere congiunte.
I due personaggi si riuniscono, ma nonostante tutti gli sforzi non c'è ancora un completamento.
Il sesto capitolo invece ci rivela di più su Jay Gatsby, e sull'importanza di un nome. La tematica del nome è una delle mie preferite in letteratura, e adoro vedere come i nomi possano corrispondere anche a più versioni di uno stesso personaggio, o come rivelino dettagli man mano. Il modo in cui Gatsby cambia nome ha un effetto evidente sulla sua immagine, e al lettore sembra quasi di vedere due facce totalmente distinte dello stesso essere umano, l'una legata strettamente all'altra.

"Lo aveva cambiato a diciassette anni, nel momento in cui ebbe inizio la sua carriera [...]
Probabilmente già allora teneva il nome pronto da un pezzo."

Il cambiamento sembra essere avvenuto in modo spontaneo e diretto all'esterno, ma graduale all'interno. James Gatz è il figlio di contadini, mentre Jay Gatsby viene definito "scaturito da una concezione platonica di se stesso. Era un figlio di Dio [...]"
Vediamo passare Gatz a Gatsby, da un mondo povero a un mondo ricco ma non per questo privo di sforzi. Gatsby non solo si è preoccupato fisicamente della sua figura, ma ha sudato per farlo. Tutto questo mi ha ricordato particolarmente di due personaggi provenienti da uno dei miei libri preferiti, The Raven Boys. Tali personaggi, Adam e Gansey, somigliano molto a Gatsby pur essendo quasi opposti, o meglio complementari. Adam somiglia di più a James Gatz, costantemente in creazione di se stesso, mentre Gansey potrebbe essere considerato vicino al Gatsby adulto (notate la somiglianza nei nomi?).
Il punto principale di questo capitolo, però, è il modo in cui Gatsby si relaziona con Daisy e, di conseguenza, con Tom. Dopo avere invitato entrambi ad una delle sue solite feste, Gatsby si ritrova a dover fronteggiare due forzature: quella che ha nei confronti di Tom Buchanan è un obbligo di formalità, un obbligo sociale, mentre la forzatura che prova per Daisy è piena della sua moralità distorta e intima. Ho adorato particolarmente il modo in cui Gatsby lascia trasparire questo suo obbligo, questa propensione ad aggiustare le cose, a tornare al passato — in particolare, è molto interessante il fatto che Nick venga colpito duramente da questo suo comportamento. Non mi è per nulla chiaro se Gatsby cerchi in Nick un amico vero, o un giocattolo. Mi piacerebbe vedere uno sviluppo su questo nei prossimi capitoli.

Quali sono invece le vostre opinioni su Gatsby? Quali sono i dettagli del suo comportamento che più vi hanno colpito?
Cosa vorreste vedere in lui nei prossimi capitoli?
Non esitate a commentare e a darci la vostra opinione. Potete proporre domande o nuovi spunti di riflessione inerenti a questi tre capitoli.
La tappa successiva, sui capitoli 7, 8 e 9, verrà moderata da Ilenia il 27 maggio.


Cosa ne pensi? Lascia il tuo commento.


2 commenti:

  1. Pietà, Marco, hai detto tantissime cose.
    Provo a partire dall'ultimo capitolo, il sesto.

    Personalmente, ho trovato che in questo frangente del libro la personalità del Fitzgerald autore, con tutte le sue vicissitudini ed i suoi tormenti, venga fuori maggiormente, e ancor di più a contribuire alla scissione dell'uomo cui egli ha dato i nativi letterari. Nel capitolo sesto, Jay Gatsby non è più soltanto un RACCONTO all'interno di un racconto quanto una FIGURA più completa, che si muove all'interno di un tessuto narrativo e che per sua stessa ammissione,- e per come la vediamo schiudersi- legittima il suo passato in quanto tale, e tutto ciò che esso comporta.

    Io credo che questo libro arrivi a dire in questo momento una cosa importante, ma non meno in ombra: noi siamo anche persone, non solo storie. E tutto quello che fa parte del passato non cessa mai di avere un ruolo fondamentale nello sviluppo di un individuo. Non solo perché tutto quello che è di un'altra epoca e di altri noi stessi è naturalmente ancora intatto nei ricordi, ma perché una volta tolte le barriere del mondo esterno sono nostri i demoni che andiamo a cercare e a cercare di sconfiggere, è nostra la responsabilità di come ci siamo comportati e dopo il passato, che figurativamente rappresenta il presente della narrazione degli anni '20, quello che è importante e su cui possiamo prenderci il diritto di riflettere è non tanto quello che non possiamo cambiare, quanto quello che abbiamo già fatto ed il segno che abbiamo lasciato su ognuna delle persone che quel tempo lo hanno scandito.

    Io vedo in Jay Gatsby un qualcosa di traumaticamente scisso, e malcelato. Se pur visto sotto le impressioni di un narratore esterno, e per quanto agli occhi dello stesso Nick possa apparire un carattere " che non ha nulla da dire", l'esperienza lascia il posto alla considerazione che spesso, anche se non sempre, le cose non sono quasi mai come sembrano. Ed in fondo Gatsby non è che qualcosa di ognuno di noi, qualcosa che forse abbiamo già espresso ma non ancora interiorizzato, o al contrario qualcosa che pur se tanto compreso è fonte di dolore, e come si fa a riempire un dolore simile senza pensare che possa anche non essere mai capito. Una parte del comportamento di Gatsby, già lo so, non mi riuscirà di capirla, e sono convinto che in quello si nasconda uno dei temi cardine del romanzo, dove il passato non è più un nemico perché non è così semplice, perché la vita non è così semplice, e questo sesto estratto sembra voler dire che più che far caso al nome, bisognerebbe evitare il giudizio completo di un individuo se non si conosce almeno un po' il suo percorso.

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  2. Il recupero di Daisy per me rappresenta anche un recupero di se stesso. L'unica cosa che lui ha perso e che non ha recuperato. è questo che Gatsby non può accettare. Inoltre, un'altra cosa da evidenziare è il rapporto totalmente platonico che Gatsby ha nei confronti del mondo. è stato sempre contrapposto a Tom come pacchiano ma in realtà quello davvero volgare è Buchanan. Lui vive in un mondo indorato in cui sente di "rivalutare ogni suppellettile" se solo questo non fosse gradito a Daisy. La scena dell'orologio è commovente, un uomo che cerca di impadronirsi del tempo. Ma indubbiamente il momento che più mi ha destabilizzato (oltre alla scena del bacio - non tanto in sé ma quanto per la descrizione di esso come punto a cui arrivare, una scala che Gatsby sale da solo) è quando Gatsby, ora che può stringere "nel suo terzo stadio di meraviglia" il suo sogno - Daisy - fissa la luce verde che naturalmente adesso è solo una luce oltre la baia. "E il suo numero di oggetti incantati nel mondo era diminuito di uno". Credo sia stato questo il momento in cui mi sono (di nuovo) re-innamorata di Jay Gatsby. Un uomo che getta uno sguardo colmo di meraviglia, carico di significati, al mondo.

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