Autrice: Carolyn Jess-Cooke
Prezzo: 17.60€
Dati: 2012,416p.,rilegato
Editore: Longanesi (collana La gaia
scienza)
Tutti mi guardano strano quando dico che ho un demone.
«Vuoi dire che ti senti perseguitato dal demone, non so, della droga»
mi chiedono, «o dall’impulso irrefrenabile di accoltellare tuo papà?» No,
rispondo. Il mio demone si chiama Ruen , è alto più o meno un metro e settanta
e adora Mozart, il ping-pong e il pudding di pane e burro.
Trama:
Alex ha dieci anni e vive a Belfast in una casa fredda e
spoglia con la sua giovane madre, una donna precipitata da tempo negli abissi
di una grave depressione. Alex è un bambino solo ma ha un amico speciale. Ruen.
che nessun altro può vedere e che si manifesta sotto forme diverse e quasi mai
rassicuranti. Ruen spesso lo aiuta, ma a volte gli chiede anche di fare cose
cattive. Anya è una psichiatra infantile. La sua è una professione molto dura,
soprattutto per chi come lei ha perso una figlia in circostanze oscure. Anya è
incaricata di occuparsi del caso di Alex. Perché Alex dice di parlare e
interagire con misteriose presenze che si manifestano soltanto a lui. E perché
dopo il tentato suicidio della madre il bambino è rimasto solo. Sulla
psichiatra e sul suo giovane paziente incombe lo stesso destino. Ruen infatti
ha chiesto ad Alex di fare qualcosa di sconvolgente. Qualcosa che Alex,
stavolta, non vuole fare...
L’autrice:
Carolyn Jess-Cooke è nata nel 1978 a Belfast, nell’Irlanda del Nord, e vive
in Inghilterra col marito e i tre figli. È autrice di una raccolta di poesie e
di diversi saggi sul cinema e su Shakespeare.
Recensione:
A cura di Miriam Mastrovito
Sorpresa. È la prima sensazione che ho provato addentrandomi
nella lettura di questo libro.
Stando alla quarta di copertina, mi aspettavo un horror
psicologico dalla forte componente paranormale. Il mio pensiero è corso subito al
Sesto Senso, film che ho amato e che
la trama, unitamente al ritratto in copertina, sembrava richiamare a gran voce.
In realtà delle affinità ci sono, ma poche pagine mi sono
bastate per rendermi conto di come la mia impressione iniziale fosse fuorviante. Cose che il buio mi dice è un romanzo difficilmente etichettabile,
sicuramente ancorato alla realtà più di
quanto mi aspettassi.
Alex è un bambino costretto in un’infanzia gravida di ombre
e altrettanto avara di luci. Aveva solo cinque anni quando ha perso suo padre
assistendo a qualcosa di terribile. Da quel momento, sua madre non è più la
stessa. Ha smesso di sorridere, spesso si taglia i polsi o ingurgita tante
pillole da cadere in un sonno profondo cosicché lui deve prendersene cura e
convivere con il timore di perdere anche lei. La casa in cui abita è fredda,
spoglia, inospitale. Una cassa di vecchi indumenti appartenuti al vecchio
proprietario costituisce il suo guardaroba. Indossa vestiti più gradi della sua
taglia, Alex, e quasi sempre mangia cipolle perché con pochi spiccioli se ne
possono comprare abbastanza da sfamarsi per una settimana. Ha solo due amici su
cui poter contare: il cane Bau e Ruen. Se non fosse per loro, sarebbe
completamente solo.
Ruen però non è una persona normale − a dirla tutta, non è affatto una persona. È
un demone capace di assumere diverse sembianze. A volte si presenta come un
vecchio dalla giacca sfilata, altre ha l’aspetto di un mostro con un corno
rosso sulla fronte, altre ancora sembra un bambino che gli somiglia. Ruen non
ha mai un volto rassicurante, eppure Alex ha imparato a non averne paura. La
sua presenza è più tollerabile della solitudine, la sua voce preferibile al
silenzio anche se spesso gli suggerisce di fare cose molto cattive.
A dispetto delle premesse, la relazione tra il bambino è il
suo demone ha ben poco di soprannaturale. Sin dai primi capitoli appare chiaro
che Rouen è sì un parto dell’inferno, ma di quel particolare inferno che si
annida nella psiche umana e che prende il nome di “rimosso”.
La dottoressa Anya Molokova è convinta che Alex sia affetto
da schizofrenia infantile. Sarà lei a prenderlo in cura e a cercare di
aiutarlo. Il suo coinvolgimento nel caso sarà particolarmente intenso e, in
diverse occasioni, rischierà di compromettere il buon esito della terapia
poiché, nel giovane paziente, la donna rivedrà sua figlia Poppy morta a causa
della stessa malattia.
L’intera storia si snoda seguendo l’alternanza di due voci. A turno, Alex e Anya prendono la
parola per fornire in prima persona il resoconto degli eventi.
Alle visioni del bambino, ricche di sfumature paranormali,
puntualmente segue l’analisi della psichiatra che tenta di decodificare i suoi
incubi per risalire all’origine del disturbo.
Sullo sfondo scorrono le immagini di un’Irlanda del Nord
martoriata dai Troubles. Sebbene, con
discrezione, la violenza che ha caratterizzato questa pagina di storia
serpeggia costantemente tra le righe profilandosi come possibile causa delle
psicosi a insorgenza precoce ascrivibili a quegli anni – una teoria
interessante, anche se opinabile, che completa il quadro d’insieme associando a
quella psicologica un’analisi di carattere sociologico di un fenomeno la cui
incidenza è più ampia di quanto comunemente si creda.
È innegabile che il romanzo sia appassionante e che riveli
uno spessore di gran lunga superiore alle aspettative di cui parlavo
all’inizio. Carolyn Jess-Cooke affronta una tematica scottante, attuale,
complessa e lo fa con una delicatezza straordinaria. Alex è un personaggio che
colpisce dritto al cuore, le pagine del suo diario sono toccanti nella loro
semplicità e regalano momenti di autentica commozione.
Tuttavia, non ho potuto fare
a meno di registrare alcuni punti deboli che hanno mitigato il mio
entusiasmo.
Lo stile narrativo non mi ha convinto fino in fondo.
L’alternanza delle due voci narranti non corrisponde a una vera e propria
alternanza di registri linguistici. Escludendo alcune espressioni tipicamente
infantili e alcune imprecisioni disseminate ad arte, Alex e Anya si esprimono in modo molto simile, tanto che non si
avverte il giusto stacco tra i capitoli corrispondenti all’uno o all’altro
personaggio.
Se la parte introspettiva è gestita con sorprendente
abilità, lo stesso non può dirsi per lo sviluppo della trama. Gli eventi si
susseguono sulla base di uno schema fin troppo prevedibile, ragion per cui non
si fatica a presagire certi accadimenti e abbastanza facilmente si indovina il
finale – particolare questo che fa sfumare la suspense e abbassa un tantino il
livello di attenzione. Pur protendendo per un’interpretazione razionale, l’autrice
sembra voler giocare fino alla fine la carta dell’incertezza insinuando il
dubbio nel lettore che qualcosa sfugga alle spiegazioni scientifiche. Purtroppo
però, non concede il giusto spazio a questa pista finendo per lasciarci con
molte domande per le quali non tenta neanche di suggerirci una risposta. Come fa Ruen a conoscere il passato di Anya? Come ha potuto
dettare ad Alex la partitura di un brano composto da Poppy? Sono solo alcuni
degli interrogativi destinati a rimanere in sospeso.
A lettura conclusa, mi sono sentita sopraffatta da
sensazioni contrastanti. A mio parere, Cose
che il buio mi dice è un romanzo dalle grandissime potenzialità, non tutte
però pienamente espresse. Per certi versi mi ha conquistata ma, per altri, mi ha
lasciata abbastanza con l’amaro in bocca.
Consigliato? Sì e no.
Lo consiglio per la parte che concerne l’introspezione psicologica e per la tematica
che merita davvero, un po’ meno per la trama, godibile ma abbastanza scontata.
Se vi aspettate un horror, rischiate di rimanere molto delusi.
Voto:
ciaoo leo questo è nella mia lista desideri tu cosa ne dici? :-))
RispondiEliminaCiao vale! io non l'ho letto ma questa è la recensione di Miriam, la mia collega, e di solito mi fido di ciò che dice ;)
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