mercoledì 10 aprile 2013

Self-publishing: democratico strumento per emergenti o meccanismo di un mercato malato?



A cura di Ilenia Zodiaco
Il self-publishing e il mercato dei libri digitali sono le grandi novità con cui l'editoria sta facendo i conti. Sono due fenomeni speculari. Infatti l'auto pubblicazione è sempre esistita -  pensiamo a fenomeni come quello di Federico Moccia, intento a distribuire copie fuori dai Licei – ma è in correlazione al mercato digitale che si sta imponendo come una fetta di mercato da tenere in considerazione. Lo spazio online, soprattutto se messo a disposizione da grandi colossi come Amazon, permette di azzerare i costi di produzione e di distribuzione, ma anche il lavoro di editing. Il costo di produzione è difatti inesistente in quanto copia digitale ,del cui formato e della cui “manutenzione” si occuperebbe l'autore stesso, e il lavoro di editing, così come il lavoro di distribuzione, sono anch'essi a carico dello scrittore-pubblicatore (condividere sul web graverebbe unicamente su di lui, dipenderebbe dal suo impegno, non dal reparto marketing di una casa editrice).  Insomma il self-publishing riduce all'impotenza la casa editrice, mediatrice tra scrittore e pubblico. 
C'è chi gioisce perché vede nell'autopubblicazione un mezzo democratico per emergere senza dover “regalare” soldi a intermediari spesso scomodi, poiché è radicata in molti lettori  e scrittori l'immagine di una casa editrice cinica e sanguisuga, defraudatrice, che lucra sul merito altrui. La realtà, naturalmente, è molto diversa: ci sono piccole e medie case editrici che lottano per la sopravvivenza così come grandi gruppi editoriali voraci e onnipotenti. Non è questo il luogo per discutere la situazione dell'editoria italiana, la volontà è quella di ragionare sulle differenze concrete che distinguono un romanzo autopubblicato da quello curato da una casa editrice per constatare se davvero oggi non abbiamo più bisogno dell'editoria e soprattutto, ed è questo l'aspetto che più ci interessa, se davvero il self-publishing aiuta gli scrittori emergenti.
Spesso il motivo per cui ci si autopubblica è: tutte le case editrici hanno rifiutato il mio romanzo. Su dieci autori, per cinque di essi c'era un motivo. Rimangono altri cinque talenti incompresi. Cosa fanno? Mettono a disposizione il loro genio su siti di autopubblicazione ad un prezzo medio-basso. Il pubblico che riusciranno a raggiungere sarà dieci volte più limitato rispetto alla distribuzione di una casa editrice. Perché? Perché il personale della casa editrice è pagato e ha studiato come fare pubblicità nel mercato dei libri, anche se non sempre (parleremo in un altro momento dell'abbassamento di qualifiche dello staff delle case editrici). Ci sono delle eccezioni, come Amanda Hocking, autrice YA americana che ha
Un lampante caso di
discutibilissima 

autopubblicazione italiana
 (n.d.r)
venduto più di un milione e mezzo di copie con Switched - Il segreto del regno perduto. Ma sono, appunto, eccezioni.  
Insomma, l'autopubblicazione al momento è semplice condivisione del contenuto creato, non c'è nessun lavoro editoriale dietro. E di questo, nella maggior parte dei casi, ne risente la qualità. Il risultato qual è? Un pubblico limitato, che si disinteresserà presto e che, soprattutto, non ti riconoscerà alcun merito.
L'impressione è che in questo meccanismo l'autore non è più in primo piano. L'associazione tra l'attività di scrittore e il lavoro non è più immediata. Anzi, il basso costo, quando non addirittura il contenuto gratuito, ci spingono a pensare allo scrivere come un passatempo, un gioco. Il ruolo dello scrittore è davvero democraticamente riconosciuto dagli anonimi lettori del web, spinti da una curiosità onnivora? Tutto è in balia della fortuna, del caso. Non si rischia di ridurre anche la lettura ad un atto senza valore di arricchimento, un hobby? Questo naturalmente non è un crimine, anzi. Ci sono molti lettori che leggono per puro intrattenimento. Ma è davvero questo che voleva l'autore autopubblicandosi? Essere divorato e dimenticato?
L'annosa questione sembra trovare una soluzione nel compromesso. Le case editrici potrebbero sfruttare la serra del self-publishing per fare scouting cioè per pescare dalla miriade di nomi e titoli un valido autore su cui puntare. Sarebbe una vittoria per lo scrittore, per i lettori e per le case editrici.

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22 commenti:

  1. io leggo spesso autori auto-pubblicati e spesso ce ne sono validi che vengono snobbati, mentre le case editrici pubblicano libri spazzatura come le 50 sfumature, perchè non è sempre il talento che conta ma il guadagno.Beh non li biasimo di certo....
    Però concordo a pieno con questa frase"Le case editrici potrebbero sfruttare la serra del self-publishing per fare scouting cioè per pescare dalla miriade di nomi e titoli un valido autore su cui puntare. Sarebbe una vittoria per lo scrittore, per i lettori e per le case editrici"..potrebbero farlo davvero!!!!

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    1. Lo scopo dell'articolo non è assolutamente quello di denigrare il self-publishing a favore delle case editrici, ma esporre il nostro pensiero ovvero che c'è bisogno di una BUONA e ONESTA casa editrice che si prenda cura del romanzo con un lavoro di editing - che è sempre consigliato e molto spesso addirittura necessario -, che lo pubblicizzi come si deve, che lo distribuisca e lo faccia conoscere. Inoltre se da un lato non è giusto pubblicare solo il Dan Brown di turno, dall'altro c'è da dire che alcuni "libri" dovrebbero rimanere nel cassetto dei loro autori.
      Non credo sia giusto demonizzare sempre e solo gli editori: bisogna saper trovare il giusto compromesso.

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  2. forse vado clamorosamente fuori tema, ma... fammi capire: Amanda Hocking sarebbe un "talento"?
    Dopo aver letto Switched, ogni volta che incontro uno scrittore che arriva dal mondo digitale divento estremamente diffidente.
    Il tuo articolo mi fa pensare ad un'altra "scrittrice", che credo abbia un percorso simile alla Hocking: H. Killough-Walden... ha gli stessi risultati. Sicuramente NON comprerò altro materiale suo. Né mi interessa leggere quello che scrive.
    Ora, mi va bene avere molta scelta;
    mi sta bene il libro serio come la "lettura d'evasione", sono onnivora;
    ho un kobo nella mia "lista nera", prima o poi arriverà (il problema sarà imparare ad usarlo);
    ma davvero comincio a pensare che la qualità sia un optional in un mondo dove è in corso una specie di “processo di barbarizzazione globale”. E lo diventerà ancora di più con questi nuovi mezzi. Questo è grave.

    Altro fuori tema: non ho saputo resistere e ho preso “Sette minuti dopo la mezzanotte”…

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    1. Sette minuti dopo la mezzanotte è un piccolo capolavoro. Ogni volta che rileggo le ultime pagine mi viene quasi da piangere.
      Goditelo :)

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    2. La Hocking non è fatta un talento, ma la dimostrazione di quanto sia i fruitori del self-publishing, che ha dato i natali alle sue opere e le ha fatto raggiungere il successo, sia l'editoria cartacea, che ne ha acquistato subito dopo i diritti per la pubblicazione in cartaceo di tutte le sue saghe (questa qui avrà pubblicato venti libri in un anno xD), abbiano favorito l'ascesa dell'ennesima pseudo-Meyer.

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  3. Io credo che l'auto-pubblicazione sia un' ottima opportunità per farsi conoscere: trampolino di lancio.

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  4. L'autopubblicazione secondo me è un'ottima cosa, un buon trampolino di lancio, un'occasione per farsi notare. Non ho letto touched, che tu etichetti come "Un lampante caso di discutibilissima autopubblicazione italiana", ma so che elisa s amore ha firmato un contratto con il fruppo editoriale gems. Non ci sarebbe mai riuscita se non si fosse autopubblicata, perchè, diciamocelo... nell'editoria funziona spesso a spintarelle, non a meriti reali. Se elisa se lo meriti o meno non lo so, fatto sta che questa opportunità se l'è giocata in modo perfetto e credo tutti debbano provarci e lottare per ciò che vogliono.

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  5. Io ho sentimenti contrastanti rispetto all'autopubblicazione.
    Se da un lato, l'autopubblicazione dà l'opportunità di far arrivare ai lettori anche buoni libri che non sarebbero stati pubblicati perché scartati dalle case editrici perché fuori dalla loro linea editoriale o da quelli che loro pensano siano i gusti dei lettori, dall'altro il rischio è che vengano distribuiti cattivi libri scartati dalle case editrici appunto perché cattivi.

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  6. Parliamoci chiaro, le case editrici non pubblicano un libro giudicandolo per il suo contenuto "pedagogico" o culturale. La prima preoccupazione per un editore tradizionale è che il libro pubblicato possa vendere. Non credo quindi che l'imbarbarimento delle letture possa dipendere dall'autopubblicazione di autori non-scelti-da-case editrici. Ci sono tante porcherie pubblicate dalla mondadori che sviliscono la parola "cultura" ma che comunque vengono pubblicate e ripubblicate perché vendono. Il mercato si muove con i soldi e non con le buone intenzioni purtroppo.
    Io credo che l'autopubblicazione sia una cosa positiva prevalentemente per due aspetti:
    1. evita che scrittori emergenti e non ancora avvezzi al mondo dell'editoria, finiscano nelle grinfie di qualche editore a pagamento che li sfrutta a prezzi esorbitanti promettendo servizi e distribuzione che non ci saranno.
    2. Da la possibilità a tutti quelli che coltivano il sogno di essere scrittori di poter vedere il proprio libro pubblicato senza dover scendere a compromessi con case editrici. Una trasposizione del mondo dei blog alla vita reale, se vogliamo. Ho il diritto di scrivere una storia e renderla accessibile a tutti gli altri che ne sono interessati. E loro hanno il diritto di accedervi. L'autopubblicazione, secondo me, fa in modo che non ci sia nessuno che impedisca questo scambio di storie ed idee.
    Per quanto riguarda poi la qualità oggettiva del libro autopubblicato, non è vero che tutti i servizi di autopubblicazione sono uguali. Conosco dei siti di autopubblicazione che mettono a disposizione dello scrittore tutta una serie di servizi editoriali come l'impaginazione e la correzione di bozze che permette di avere una pubblicazione di altissima qualità. Per pubblicare il mio libro mi è bastato fare un clic e sono stato messo in contatto con una redazione competente e onestissima.
    Non sono tutti uguali.

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    1. La conclusione è in netto contrasto con la premessa. "Non sono tutti uguali" e poi hai invece affermato una massima (per altro falsa) del mondo dell'editoria: gli editori pubblicano solo per vendere. Se fosse come dici tu, oggi non avremmo capolavori tra le novità come Canada di Ford, o tra gli esordienti una Dubois o una McCleen. Le case editrici pubblicano schifezze ma pubblicano soprattutto ottimi titoli, spesso rimettendoci, ecco perché poi pubblicano titoli più commerciali per rientrare nelle spese. Purtroppo è soprattutto colpa di un pubblico troppo generalista e approssimativo nella scelta. Si è perso il ruolo di guida culturale delle case editrici, non solo ma anche per colpa di lettori poco attenti. Poi ovviamente dipende in che genere ti muovi tu. Quello della narrativa generale è un reparto molto curato (l'Einaudi e la minumum fax, per non parlare dell'Adelphi hanno dei cataloghi impeccabili, per quanto alcuni autori siano sperimentali - soprattutto quelli della minimum- e non incontrano magari i gusti del pubblico). Al contrario, se ti muovi nei reparti della letteratura di genere, che già di per sé è più commerciale,perché appunto spesso chiusa in canoni rigidi, è normale che è più difficile trovare il nuovo Tolkien. Anche perché è letteratura di enterteinment, chiaro che il mercato ci speculi sopra.

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    2. Io non ci vedo tutto questo contrasto tra la premessa e la conclusione... ovvio che non solo le schifezze vendono! E meno male! :)
      La mia era una riflessione forse troppo amara sul mercato del libro italiano. Nelle mie esplorazioni nelle librerie e nelle biblioteche mi capita molto raramente di trovare un romanzo di un autore italiano completamente esordiente. I pochi che trovo sono editi da piccole case editrici coraggiose che "scommettono" sul proprio autore.
      Per i titoli stranieri che hai citato, ho sempre pensato che comunque le case editrici li traducano per un calcolo commerciale più che altro: sono libri che magari all'estero hanno riscosso un discreto successo e si prova a ripeterlo qui.
      Ma hey, sono d'accordo con te che non è poi così nera! Il mio era un discorso pro-autopubblicazione quindi elencavo gli aspetti negativi che con l'autopubblicazione si evitano.
      Detto questo, ciò che è schifezza per te, può essere buona lettura per me... :) Secondo me è un bene che si sia perso il ruolo di guida culturale delle case editrici, forse per una mia personale visione distorta... in un mondo dove non esistono censori e dove si da la possibilità a tutti quelli che hanno qualcosa da dire di dirla nel miglior modo possibile, io sono libero di scegliere di leggere e pensare ciò che voglio!

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    3. e con "io" intendo "tutti"

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  7. Io ho letto (e recensito) Touched, purtroppo! Sigh...
    Dire che è discutibilissima temo non renda abbastanza l'idea dello shock che ho provato leggendolo. L'unica mia speranza è che la casa editrice glielo corregga interamente prima di pubblicarlo, aggiungendo i congiuntivi latitanti e rimettendo in sesto la grammatica.
    Nonostante questa brutta esperienza sono assolutamente favorevole all'autopubblicazione. Ci sono libri splendidi che meritano di vedere la luce anche se le case editrici li rifiutano. Ad esempio sono stata conquistata da Nuova Terra, di Dilhani Heemba. Anche se è innegabile che una casa editrice dietro avrebbe potuto rendere la sua opera ancora più godibile,mantiene comunque un livello anni luce avanti rispetto a molti libri pubblicati tramite i canali ufficiali.
    Come dice Giacomo, le case editrici devono pensare a vendere, è semplice questione di mercato. Ma a volte mi chiedo se non possano scegliere di vendere buoni prodotti, oltre che prodotti facilmente vendibili. Non so se mi spiego >.<
    Ho l'impressione che spesso si scelga la strada più facile, puntando su libri che attirano facilmente la curiosità (vedi le 50 sfumature) lasciando da parte invece altri che magari richiedono un "impegno" maggiore.
    Da poco ho cominciato a leggere in inglese e mi si è aperto un mondo di novità. Non dico che gli autori italiani non possano raggiungere lo stesso livello, anzi. Sono le case editrici che dovrebbero rendersene conto e puntare sui veri talenti, in grado anche di alzare il livello culturale e non solo vendere prodotti banali che presto saranno dimenticati solo per essere sostituiti da altri identici.

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    1. Mi appunto il titolo da te consigliato :) Il discorso sulle case editrici è più complesso. Spesso pubblicano libri-ciofeca proprio perché i lettori rifiutano i buoni titoli ed è chiaro che si debba scendere a compromessi altrimenti si chiude baracca. Tempo fa la pensavo come te sulla letteratura italiana, poi mi sono accorta che è solo il mio demerito di lettrice poco informata. Non so se hai mai letto Cognetti o Vitali o Benni o Michela Murgia o Viola Di Grado. Il problema è che prima di puntare il dito sugli editori, dobbiamo anche farci noi un'analisi di coscienza e chiederci quanto stiamo cercando nei reparti sbagliati della libreria. Sul fatto che poi le case editrici non facciano un'opera di marketing adeguata sui titoli meritevoli, concordo al 100 % però da quando seguo di più questo mondo (specialmente sui social) ti assicuro che molti lavorano tantissimo ma è difficile star dietro ad un bacino che è sempre meno attento alla lettura come momento di arricchimento.

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    2. Ah, poco tempo fa ricordo che nella mia libreria di fiducia uno dei commessi - che era in vena di chiacchiere quel giorno - mi diceva che, sì, è vero che le case editrici ogni anno pubblicano tanta fuffa, ma anche qualche buon libro e il problema è spesso che molta gente legge poco, non si informa, frequenta pochissimo le vere e proprie librerie fisiche o compra i libri al supermercato e non chiede consiglio a un libraio, quindi cade vittima del libro della celebrità di turno, dell'autore molto noto, o del caso editoriale del momento.

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    3. Purtroppo è vero che molti leggono poco e spesso male, e la colpa non è tutta imputabile alle CE, ma penso comunque che si lascino scappare fin troppi bei libri per essere "innocenti". Poi, probabilmente, sono io che mi fisso su libri poco conosciuti... ma da quando ho cominciato a leggere in inglese mi sono resa conto di quanti libri ci stiamo perdendo mentre si sceglie di tradurre opere che valgono molto meno.
      Ilenia, ti consiglio assolutamente Nuova Terra ;)

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  8. Uhm.
    Beh, io non ho assolutamente nulla contro l'auto-pubblicazione. E' un'ottima - secondo me unica, ma vabé - alternativa all'eap e ognuno deve sentirsi libero di fare quello che vuole con la propria opera. Sono d'accordo col fatto che può trasformarsi in un buon trampolino di lancio e con l'idea che sarebbe un ottimo metodo di scouting per le Ce, ma non lo metterei mai e poi mai al livello di una pubblicazione 'vera'. Perché chiunque può auto-pubblicarsi, il filtro qualitativo è assente e con tutti wanna-be-scrittori con velleità letterarie decisamente al di sopra delle loro capacità...
    Che poi ci siano anche case editrici che pubblicano schifezze è vero, ma infatti la loro credibilità, almeno a livello super-lettori-informati è abbastanza in caduta libera.

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  9. Io non trovo scandaloso che le case editrici valutino il potenziale di vendita dei libri che pubblicano: pubblicare e promuovere un libro costa e le case editrici devono almeno far rientrare i loro costi. Sì, magari potrebbero rischiare un po' di più e, oltre al potenziale bestseller e/o al libro dello scrittore molto noto, desse più spazio ad autori sconosciuti che scrivono buoni libri.
    Un altro pensiero che mi viene in mente è che è molto bello che lo scrittore sconosciuto possa autopubblicare i propri libri, ma poi la sua esperienza rischia di chiudersi senza che i suoi scritti raggiungano mai il grande pubblico, se i suoi libri non attraggono l'attenzione di una casa editrice che metta dietro al suo talento una capacità promozionale che solo una casa editrice può avere.

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    1. Esatto. In quel caso, è solo narcisismo. E va più che bene, ci mancherebbe altro però mi da fastidio che si inveisca sempre contro gli editor cattivoni. Non basta essere bravi, bisogna anche essere originali e bisogna anche presentare l'opera nel momento giusto (in senso anche storico). Altrimenti è normale che, per quanto possa essere valida la storia, non aggiunge nulla al panorama del momento quindi viene rifiutato.

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    2. Fra l'altro, uno zio di mia madre lavorava in una casa editrice e diceva che chi non ci lavora non ha idea di quanti manoscritti di sedicenti scrittori ricevono le case editrici, quindi ci sono dei no detti per logiche commerciali (magari quello scrittore è bravo, ma non è il momento), ma ce ne sono anche dovuti al fatto che un manoscritto è un'autentica schifezza.

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  10. un libro autopubblicato è invisibile, anche se messo a disposizione gratuitamente. se nessuno sa che esiste nessuno lo compra. nel momento in cui un libro autopubblicato diventa visibile significa che l'autore quantomeno è stato molto bravo a fare marketing.
    per esplorare il mondo del selfpublishing ho autopubblicato su amazon un pamphlet sulla maternità. i numeri parlano chiaro. senza marketing non si vende nemmeno una copia.
    se le grandi case editrici fanno scouting (come nel caso di anna premoli, per citare un nome italiano che qui non mi sembra sia stato ancora fatto) lo fanno quando un romanzo autopubblicato resta in vetta alla classifica per lungo tempo. quindi l'editore non fa altro che assecondare il gusto dei lettori, che sono gli stessi che comprano le 50 sfumature e la hocking.

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  11. Tutto questo è profondamente logico. Quando scrivi un romanzo è come se t'infatuassi della tua storia, le sorridi e non capisci più niente, nonostante lo sforzo di essere minuziosamente critici.
    Poi dopo un po' di tempo che decanta, la rileggi, e ti rendi conto di avergli dato un sacco di coltellate grammaticali. Purtroppo è così: non basta l'infatuazione, bisogna innamorarsi della storia.
    Per conferirle un certo aspetto bisogna livellarla, e purtroppo, se si è soli, non si riesce ad essere puramente oggettivi.
    Io credo che Elisa s. Amore, abbia talento e coraggio. Uno, perchè non ha ricorso ad editori, due, perchè si è lanciata dal trampolino. Nessuno di noi creda abbia mai letto l'opera dei nostri autori preferiti prima delle correzioni dell'editor. Forse senza la loro mano sarebbero state opere simili a Elisa s. Amore.
    Quindi bisogna incoraggiare il self-pubblicing perchè si possono trovare dei veri e propri gioielli allo stato grezzo.

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