Nel rutilante mondo dei reality, che sono stati girati
praticamente in tutti gli ambienti, dalle case dei vari Grandi Fratelli alle cucine
infernali, mancava una trasmissione dedicata alla scrittura. Masterpiece,
iniziato domenica 17 novembre alle 22.50 su Rai Tre, si propone di colmare tale lacuna. Vista la prima puntata, credo che abbia molto lavoro ancora da fare.
La cornice
è molto patinata: la voce narrante impostata introduce i tre giudici, Andrea De
Carlo, Giancarlo De Cataldo e Taiye Selasi, scrittori molto conosciuti e molto
diversi tra di loro. Allo stesso modo, introduce i partecipanti, spiegando
anche le regole delle gare che li porteranno a essere ridotti al finalista
della puntata, che affronterà gli altri dodici delle puntate a venire, per
potersi aggiudicare il premio: la pubblicazione del proprio romanzo con
Bompiani, in centomila copie.
Le mie perplessità sono iniziate subito. Innanzitutto, una
certa velocità nel presentare gli aspiranti scrittori: essendosi presentati in
5000, posso capire l'impossibilità di mostrare tutte le loro schede biografiche,
e la chiosa dei loro manoscritti, senza finire stremati a Pasqua 2014.
Tuttavia, mi è sembrato che si desse molto più spazio alla personalità del
partecipante, piuttosto che al suo manoscritto, e al suo stile. Prima di
comparire davanti ai giudici, l’aspirante viene intervistato dal coach scelto
per prepararlo al meglio, Massimo Coppola, autore per MTV, editore e regista.
Quello è uno dei pochi momenti in cui si riesce a carpire qualcosa della
personalità del partecipante, ma si deve seguire con molta attenzione il
dialogo tra i due, talmente scarno e veloce che non si riesce nemmeno ad
ascoltare con facilità.
Una volta davanti ai giudici, l’aspirante legge un pezzo
del proprio libro, per farlo ascoltare anche ai lettori nel pubblico. Con
difficoltà, riuscivo a farmi un’idea dello stile e di quello che c’era sotto. I
giudici, che avevano già letto i manoscritti, ponevano domande, ed esprimevano
i loro pareri che, almeno all’inizio, si sono mantenuti blandi. De Carlo e
qualche volta anche De Cataldo, riuscivano a giudicare, e al tempo stesso
mostrare qualcosa di più del libro, a beneficio del lettore in ascolto, per
dargli modo di inquadrare anche le radici letterarie, se presenti, che
muovevano il partecipante. Taiye Selasi, probabilmente frenata dalla lingua
(pur esprimendosi in un ottimo italiano), era molto più diretta e secca nei
suoi interventi, mentre a me sarebbe piaciuto che portasse un po’ di più la sua
esperienza di scrittrice straniera dalle molteplici radici.
La prima scrematura
veloce lascia quattro partecipanti a sfidarsi nella semifinale. A coppie,
vengono accompagnati dal coach Coppola in due ambienti completamente diversi
tra di loro, in cui passare del tempo per aver modo di accumulare esperienze:
in questo caso si è trattato di un centro di accoglienza e di un locale da
ballo molto famoso a Torino negli anni ’60. Al rientro, le due coppie devono sfidarsi
in una prova di scrittura di trenta minuti sul campo mettendo su carta le
emozioni provate in quelle situazioni. Probabilmente è stato l’unico momento
che mi è davvero piaciuto dell’intera trasmissione, perché potevo farmi un’idea
in contemporanea con i giudici.
Ho spento
l’apparecchio con un grosso "Mah!" dipinto sulla faccia, forse causato dalle mie
aspettative, troppo alte rispetto ad un formato televisivo che ha tempi
tecnici da rispettare, e questioni di audience da aumentare, anche se la scelta
della seconda serata non favorisce particolarmente queste ultime.
Penso che seguirò ancora qualche puntata, per
capire se c’è un’evoluzione, e che direzione segue: mi sembra troppo presto per
capire se si nasconde il nuovo Eco tra gli aspiranti scrittori, e se un programma
del genere ha la forza sufficiente per spingere alla scrittura nuova, originale
e sentita. Per il momento, mi sembra ancora troppo mite e poco attraente.
domanda "generica-esistenziale":
RispondiEliminama perché ogni aspetto della vita - per essere considerato reale - deve passare attraverso lo schermo?
Forse perché finiamo per passare troppo tempo davanti allo schermo, per cui lo confondiamo con la vita reale...
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